DOI: https://doi.org/10.25364/19.2019.1.4

ISSN: 2663-9815

Studia linguistica romanica 2019.1

Recensione

Fabiana Fusco 2017. Le lingue della città. Plurilinguismo e immigrazione a Udine. Roma: Carocci

Luca Melchior

Alpen-Adria-Universität Klagenfurt

Luca.Melchior@aau.at

https://orcid.org/0000-0002-7246-9524

Ricevuto il 17/12/2018, accettato il 6/1/2019, pubblicato il 9/4/2019 in base ai termini della licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

[1] «Il Friuli-Venezia Giulia: mosaico di lingue, lingue di minoranza e dialetti» si intitolava una sezione di un precedente volume dell'autrice (Fusco 2014a), che con questa monografia rende davvero giustizia a tale titolo, volgendo la sua attenzione alle nuove dinamiche del plurilinguismo che emergono dal contatto delle lingue autoctone con una nuova componente, ovvero le lingue dei migranti, in Friuli Venezia Giulia e in particolare nella città di Udine e nel suo hinterland. La pubblicazione di questo volume è davvero gradita, poiché va a colmare una lacuna, essendo pochi i lavori al riguardo (cf. le tesi di dottorato di Candido 2012-2013, 2016 e di Baldo 2011-2012, oltre a Fusco 2014b).

[2] Il volume è suddiviso in sei capitoli, di cui il primo (Introduzione [11-35]) e l'ultimo (Conclusioni [203-208]) non rientrano nella numerazione generale, ed è arricchito da due appendici: il questionario utilizzato per l'inchiesta [209-216] e un sunto dei principali risultati della già citata tesi di dottorato di Baldo (2011-2012), dedicata alla comunità Burkinabé della cittadina di Spilimbergo, ad opera dell'autore stesso [217-238]. Chiude il lavoro la bibliografia [239-253].

[3] L'Introduzione in realtà non è solo un semplice prologo al lavoro, quanto invece un approfondito esame dello status quo della ricerca linguistica, sociologica e storica sulla città. Essa pone le basi teoriche per la ricerca poi sviluppata nei capitoli seguenti. In particolare si sottolineano alcune caratteristiche e specificità ricorrenti, pur nella molteplicità delle realtà riassunte sotto il termine «città». Esse sono:

dimensione areale correlata alla densità demografica, che delimita come urbano un agglomerato contraddistinto da una certa soglia di concentrazione di insediamento e di attività, e dall'altro [.]la funzione di controllo del territorio circostante in base a una gerarchia di compiti e principi [12].

[4] La dimensione spaziale dell'agglomerato urbano è mutevole, in essa giocano un ruolo fondamentale fattori come l'estrazione sociale e la mobilità, che si correlano anche alla spazialità linguistica cittadina [13-14]. La dialettica città/campagna, nuove forme di interazione tra gruppi sociali diversi, reti di comunicazione e mobilità che formano e plagiano gli spazi, modificando e riducendo le distanze, contribuiscono all'evoluzione di ciò che è considerato «normale» e le reti di comunicazione contribuiscono all'ampliamento dello spazio della variazione diafasica [15]. Al plurilinguismo sociale urbano si associa il variegato repertorio individuale [16]. La città è dunque luogo di mediazione linguistica e culturale, luogo del contatto e oggetto di studio, non da ultimo con le metodologie della sociolinguistica urbana plurilingue. Viene poi introdotto il fenomeno migratorio in Italia, la sua persistenza e le sue caratteristiche - di cui l'urbanità, non solo metropolitana, è una, la molteplicità dei paesi di provenienza un'altra -, le diverse politiche di integrazione attuate nelle diverse regioni e città italiane e la percezione dei migranti, condizionata dalla loro visibilità in «nodi di transito» [21], come stazioni, giardini pubblici etc. L'immigrazione costituisce un fattore importante nella storia linguistica dell'Italia che, avviata verso un progressivo cedimento del plurilinguismo interno per l'indebolirsi dei dialetti, si trova confrontata con nuove forme di plurilinguismo e nuove varietà di italiano. L'a. ripropone la distinzione tra lingue dei migranti - non ancora consolidate «territorialmente» - e lingue immigrate, che vanno a modificare il repertorio e gli scambi comunicativi nelle regioni in cui si trovano [26-27]. Segue una breve panoramica dei diversi studi al riguardo in Italia e la presentazione degli obiettivi del volume, che vuole indagare, sulla base di indagini sociolinguistiche, la realtà cittadina di Udine, la quale ha vissuto e vive una forte incidenza migratoria sia dall'hinterland che da diversi paesi del mondo, risultando particolarmente rilevante per la presenza, oltre che dell'italiano, del friulano e del veneto udinese come «lingue autoctone». Il capitolo si chiude con la presentazione della struttura del volume [33-34] e l'auspicio di una lettura accessibile non solo agli specialisti, ma anche agli operatori istituzionali e ai singoli individui coinvolti in queste dinamiche.

[5] Il capitolo I presenta, a grandi linee, un profilo sociolinguistico della regione, della quale si evidenzia già dall'inizio come essa sia un'unità amministrativa1 costituita da due aree storicamente e linguisticamente diverse e che Fusco considera «uno degli esempi più convincenti […] di comunità plurilingui» [38], nonché della città di Udine. Si prosegue con una brevissima carrellata degli idiomi del territorio storici e legati alla presenza migratoria, come diverse varietà di italiano. Seguono poi più approfondite illustrazioni dei singoli gruppi linguistici, a partire dal friulano [41-46], l'idioma di maggiore diffusione e, tra quelli di minoranza, vitalità. Dopo una breve suddivisione dialettale (nella quale si sottolinea però la mutua comprensibilità), l'a. presenta dati di tipo sociolinguistico, innanzitutto sulla diffusione (perdita di parlanti nei centri urbani e di comunicazione in particolare nelle ex provincie di Pordenone e Gorizia, resistenza anche tra le comunità emigrate, che possono ora usufruire, oltre che delle tradizionali associazioni, delle possibilità offerte dai nuovi media). In base alle ricerche di Picco (2001) e Melchior (2015, edita 2017), l'a. attesta al friulano una certa resistenza, nonostante il calo intergenerazionale, e buone prospettive, soprattutto per l'interesse dei parlanti più giovani, non da ultimo verso l'insegnamento dello stesso2, che Fusco riconduce a politiche di valorizzazione e tutela di successo. La situazione descritta è complessa: se da una parte l'italiano entra sempre più nei domini comunicativi informali e intimi e si crea una dilalia non diversa da quella presente altrove sul territorio italiano, vi è infatti una nascente «diglossia interna» [44] tra friulano locale (per gli usi informali) e friulano comune (per i rapporti con l'amministrazione pubblica, la letteratura etc.), la cui lingua tetto di riferimento è, comunque, l'italiano. Al friulano l'a. attesta però soprattutto una elevata funzione di coesione comunitaria [45]. Nel capitolo 1.1.1.1 Qualche considerazione sulla tutela del friulano [46-49] ella presenta brevemente le misure legislative in materia, ricostruendo anche il percorso che ha portato al risveglio di una coscienza linguistico-comunitaria (istituzione della regione autonoma con capoluogo Trieste, terremoto del 1976) e constata la fine della marginalizzazione e vernacolarizzazione del friulano [48]. C'è da chiedersi però se gli effetti delle misure illustrate siano davvero constatabili tra la popolazione o se esse non restino «calate dall'alto» e poco recepite. L'a. passa poi a una breve descrizione degli usi del friulano nella scuola, auspicando una solida politica linguistica [49]. Segue un capitolo dedicato al contatto friulano italiano [49-54], in cui si descrivono le più chiare manifestazioni dello stesso a livello fonetico-fonologico, lessicale, morfologico e sintattico - l'autrice è riconosciuta esperta in questo ambito (cf. per es. Fusco 2014a). Interessante è la constatazione che code-mixing e code-switching così come enunciati mistilingui siano all'ordine del giorno. Un'unica annotazione si può fare al riguardo: non è chiaro infatti se gli esempi apportati siano autentici (manca l'indicazione di un eventuale corpus) o costruiti. Chiudono il capitoletto importanti considerazioni riguardo alla «normalizzazione» forzata di prestiti italiani e/o veneti d'uso nel friulano. Ampio spazio è dedicato nelle pagine seguenti alle varietà venete: l'a. differenzia tra varietà autoctone (come maranese e gradese), «paracadutate» (come il veneto udinese o goriziano) e di contatto (al confine occidentale), che godono di diversa vitalità e prestigio. La maggior vicinanza percepita con l'italiano porta a maggiori fenomeni di mistilinguismo, come l'a. segnala per il caso di Gorizia [56], dove il veneto svolge anche una funzione oppositiva rispetto a friulano e sloveno, ed era tradizionalmente visto come ponte verso l'italiano. Si fa infine cenno alle leggi regionali di tutela. Le varietà germaniche sono oggetto del capitolo seguente [59-61]; si distinguono le colonie bavaresi di Sappada, Timau e Sauris, in cui secondo l'autrice si parlano varietà «arcaiche», seppur segnate dal contatto con l'italiano e il friulano3, di contro alla Valcanale, fino al 1918 austriaca, che subì, con le opzioni del 1919 e 1939 un'emorragia di parlanti tedescofoni e un arrivo massiccio di nuovi migranti interni italiani e friulani (spesso a servizio dello Stato). Al cedimento delle parlate tradizionali e del plurilinguismo spiccato della regione si è cercato di porre rimedio con leggi di tutela regionali. Segue una diffusa descrizione delle varietà slovene [61-67], nella quale l'a. correttamente distingue tra le parlate di comunità tradizionalmente orientate all'area romanza da un punto di vista culturale e socio-politico (nella ex provincia di Udine), a lungo in contatto con il friulano, e le comunità delle ex provincie di Gorizia e Trieste, invece orientate verso la Slovenia; mentre queste sono da lungo tutelate secondo trattati internazionali, le prime hanno trovato menzione giuridica appena con la legge 482/1999 e seguenti misure legislative regionali. La tutela non si rivela tuttavia semplice, dati i diversi modelli di riferimento che risultano dall'accennata storia delle diverse comunità [66]. La descrizione della situazione udinese è oggetto del capitolo seguente [67-75]. L'a. si richiama alle meritorie ricerche di Francescato per descrivere il complesso tessuto linguistico cittadino, pur sottolineando come vi siano stati notevoli cambiamenti nella frequenza e nella tipologia delle pratiche multilingui, dovute alla forte immigrazione dall'Italia e dall'estero e, in seguito, alla conurbazione dei centri limitrofi. L'a. riconosce una ripresa del friulano anche tra le generazioni più giovani, alla ricerca di una propria «identità linguistica» [69], ma sottolinea come la trasmissione intergenerazionale sia sempre bassa. Il profilo linguistico urbano è però complesso: veneto udinese e italiano vi svolgono una funzione importante, seppure il primo sia stato spesso oggetto di connotazioni negative, sempre più soppiantato dal secondo e in concorrenza con il crescente prestigio attribuito al friulano. E se Udine ha svolto un ruolo di irraggiamento dell'italiano, la sua composizione linguistica risulta, anche grazie alla migrazione, complessa e composita. Concludono il capitolo considerazioni condivisibili: «Promuovere le lingue e tutelare quelle minoritarie non vuole dire lasciare invariati i repertori, ma al contrario incoraggiare un intelligente plurilinguismo che trovi adeguato spazio funzionale a diverse varietà» [76].

[6] Il capitolo 2 Il fenomeno immigratorio nella regione Friuli Venezia Giulia e nella città di Udine [79-114] presenta, come da titolo, un'analisi dei fenomeni migratori in regione e in particolare nel capoluogo friulano. Esso si apre con un appello per una pacata riflessione su come sia possibile rapportarsi ai movimenti migratori in atto, che costituiscono - come la migrazione, costante storica, sempre è stata - un fondamentale motore dello sviluppo economico e non solo [79]. L'impatto sociale e culturale della migrazione favorisce l'eterogeneità interna della società [81]. L'a. evidenzia poi alcune costanti di un fenomeno pur vario come quello migratorio: il fatto che sia un'esperienza allo stesso tempo dolorosa e affrancante, che il legame con la patria e il desiderio di ritorno nelle prime generazioni siano in contrasto con le aspirazioni delle generazioni seguenti, che essa susciti spesso reazioni difensive anche virulente [81-81]. I dati statistici mostrano, se ve ne fosse bisogno, come l'Italia abbia cambiato ruolo da paese di emigrazione a paese di immigrazione e come i movimenti migratori siano componente essenziale e strutturale del ricambio demografico, sociale ed economico, anche se tuttora percepiti come situazione temporanea di emergenza [84], come approfondito nel capitolo 2.2 L'immigrazione in Italia [85-95]. A differenza di quanto forse avvertito, le statistiche rivelano come l'incidenza di europei (52,2%) e di cittadini comunitari (30,1%, tra cui in particolare i romeni, gruppo straniero di maggiore peso) sul totale sia percentualmente alta. La percentuale di residenti permanenti è maggiore tra i cittadini non comunitari; in crescita è anche il numero di immigrati che ottengono la cittadinanza italiana. La distribuzione sul territorio nazionale è squilibrata: meno del 16% risiede infatti nel Sud e nelle isole, mentre oltre l'85% nelle regioni del Nord e del Centro. L'impatto dei migranti sull'economia risulta evidente se si considera che essi costituiscono il 10,5% degli occupati complessivi [88], pur avendo risentito maggiormente delle difficoltà successive alla crisi del 2008, cosa che ha determinato in diversi casi la mancata possibilità di rinnovare i permessi di soggiorno. I mutamenti del fenomeno migratorio sono assai rapidi e costanti: al momento si registra un aumento di presenze femminili e di minori, che portano a una stabilizzazione del percorso migratorio [90]. L'incidenza delle donne è notevole (circa il 53% del totale), ma assai disomogenea all'interno dei singoli gruppi: estremamente alta per i paesi dell'Est europeo, mentre da Africa e Asia provengono soprattutto uomini. La migrazione femminile ha due cause: da una parte lavorativa, dall'altra di ricongiungimento familiare [90]. L'età media (oltre 30 anni) è piuttosto alta, ma è in aumento il numero dei minori, anche nati in Italia. Ciò conferma il carattere sempre più permanente della migrazione, con profonde conseguenze sulla scuola, in particolare concentrazioni eccessive in determinate classi e scuole in certe aree, specialmente urbane. Il balzo maggiore è nelle secondarie di secondo grado [92], dove forte è l'incidenza femminile; un dato in contrasto con il trend generale, che vede un aumento di presenze scolastiche di stranieri nati in Italia e un calo di nuovi arrivi. L'istruzione è, chiaramente, un possibile motore dell'ascesa verticale; nella scuola italiana mancano tuttavia strategie politiche coordinate adeguate ad affrontare il fenomeno, così che il rischio di fallimento del percorso d'istruzione è, tra i migranti, particolarmente alto [94-95]. Dopo questa presentazione generale, il focus si sposta sulla regione Friuli Venezia Giulia [95-106], in cui l'immigrazione «storica» dal Nordafrica si manifestò più tardi rispetto al resto d'Italia e si configurò prima di tutto come caratterizzata da lavoratori ambulanti, e poi da impiegati nei lavori pesanti. Gli eventi storico-politici alla fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90 del secolo scorso portarono ad ingenti arrivi di migranti dall'est (balcanico), sui quali la regione mantenne a lungo la sua attrattiva e da cui numerose appaiono le presenze femminili [96-97]. I movimenti migratori che hanno più tardi interessato la regione vengono affrontati anche grazie alle strutture e alle esperienze degli anni '90 [97]. In regione la percentuale di migranti è leggermente più alta della media italiana (8,6% contro l'8,3%, per un totale di 105.222 persone al 31/12/2015 [98]) e ha distribuzione non equilibrata nei territori delle quattro ex provincie. Se infatti in quelle di Udine e Pordenone il numero assoluto è più alto, per la prima la popolazione straniera costituisce solo il 7,5%, mentre nella seconda l'incidenza è del 10,4%; entrambi i territori registrano un lieve calo. Le ex provincie di Gorizia e Trieste, territorialmente meno estese, presentano un numero assoluto minore, ma mentre nella seconda l'incidenza rispecchia pienamente la media regionale, nella prima essa sale al 9%. Dopo quasi tre lustri di continua crescita, la popolazione straniera residente è in leggero calo nel 2014 e 2015, soprattutto per l'incremento di residenti che acquisiscono la cittadinanza italiana. Il carattere permanente della migrazione è dimostrato anche dal suo evolversi: aumentano infatti [98-99] le donne (come nella media nazionale, circa il 53%), i giovani e i minori. Assai varie sono le provenienze, ma quasi il 34% del totale è costituito da cittadini comunitari, dei quali ben due terzi romeni; oltre il 50% da cittadini europei. Ben nutrite anche le comunità albanese (oltre 10.000 persone), serba (oltre 7.000), ucraina (quasi 5.200) e marocchina (oltre 4.000); oltre 3.000 persone contano anche le comunità croata, kosovara, bosniaca, macedone, bengalese, ghanese (circa 3.200) e cinese (oltre 3.600). Nei diversi territori si trovano concentrazioni nazionali distinte, dovute spesso a catene migratorie; preferiti sono i centri urbani, in particolare le periferie [102]. L'incidenza sulla popolazione scolastica è, con l'11,9%, più alta che nel resto della popolazione, soprattutto grazie alle seconde e terze generazioni, seppure si registrino numerosi arrivi di minori, spesso non accompagnati [103]. Le alternanti politiche di accoglienza, ma anche esempi riusciti di una tale sono affrontati alle p. [103-106], dove viene in particolare illustrata la normativa del 2015. Il capitolo successivo [106-113] è dedicato alla situazione urbana udinese, che, se per quanto riguarda le nazionalità presenti, il loro peso relativo e le questioni di genere, è in linea con la media regionale, registra tuttavia un'incidenza percentuale significativamente più alta di stranieri: il 13,9% a fine 2015 (in leggero calo rispetto ai due anni precedenti) [107]. Rispetto alla popolazione autoctona, quella migrante è più giovane. La città si costituisce come centro per il pendolarismo lavorativo verso i centri minori, con concentrazioni maggiori lungo gli assi stradali e determinati spazi urbani maggiormente caratterizzati da presenze straniere (per es. elevato numero di donne nei quartieri centrali, ove esse sono occupate nelle attività di assistenza [108]). Tuttavia, a eccezione della caratteristica concentrazione nella zona prospiciente la stazione ferroviaria e delle autocorriere, la presenza straniera è piuttosto distribuita nel tessuto cittadino, in particolare nelle periferie e nelle zone periurbane, senza «'segregazione residenziale'» [109-110]. La presenza straniera nelle scuole ammonta a circa il 30%, ma presenta punte dell'80% in singole scuole. L'a. rimarca gli sforzi fatti da comune e azienda per i servizi sanitari per affrontare il fenomeno migratorio, tra cui si annoverano pubblicazioni e opuscoli plurilingui (alcune riproduzioni alle p. [111-112]. Chiude il capitolo [q]ualche riflessione di sintesi [113-114].

[7] Ne La ricerca: analisi socio-anagrafica del campione [115-146] vengono illustrati più concretamente gli obiettivi e la metodologia dello studio nonché informazioni socio-demografiche sul campione di informanti. La ricerca sulla presenza e sull'uso delle lingue degli immigrati e del territorio in un centro urbano di dimensioni relativamente contenute come Udine, svolta sulla falsariga di analoghe indagini coordinate da Chini in altre città italiane (cf. Chini 2004), vuole costituire una base per meglio comprendere quali politiche dell'accoglienza operino effettivamente a livello locale e quali precondizioni strutturali siano presenti [115]. La raccolta dati su un campione di 312 immigrati (di cui poco meno del 58% di sesso femminile, quindi con una leggera sovrarappresentazione rispetto alla media)4 è avvenuta tramite un classico questionario sociolinguistico in italiano costituito da 54 domande, talora aperte, talora chiuse a risposta multipla, volte a indagare le reti sociali e familiari degli informanti (comprese la frequenza di ritorno al paese d'origine), gli usi linguistici in diversi contesti in migrazione e prima della migrazione, le vie e i modi di apprendimento dell'italiano, la conoscenza di offerta di insegnamento della propria L1 sul territorio e l'autovalutazione delle proprie competenze linguistiche in italiano, nella lingua del paese d'origine e in altre lingue e dialetti. L'indagine si è svolta in due fasi: nel 2008, a Udine (210 informanti) e nel 2013, con inclusione di alcuni informanti residenti in centri urbani minori dell'hinterland udinese, tra frequentanti corsi d'italiano in centri territoriali permanenti, associazioni di volontariato e culturali e in istituti di istruzione ad adulti. La seconda fase è dovuta al desiderio di

confrontare alcuni aspetti a distanza di qualche anno, alla luce della crisi economica che ha investito il Friuli, ma si è desiderato soprattutto testare la ricerca in alcune aree limitrofe della città con l'intento di rintracciare una più corposa presenza della varietà locale, per intenderci il friulano [118].

[8] I risultati mostrano, dal punto di vista demografico, una preponderanza di informanti piuttosto giovani (il 72,7% è compreso tra i 18 e i 43 anni e la fascia tra i 18 e i 33 rappresenta da sola quasi il 44%), con provenienze in particolare da Europa centro-orientale, UE e Africa occidentale (l'Asia è meno rappresentata rispetto alla media nazionale). Nei sottocampioni la distribuzione è disomogenea, con una presenza notevolmente maggiore di informanti dall'Africa occidentale e orientale nel primo, di europei (e parzialmente di centro-sudamericani) nel secondo [121-123]. I dati demografici non si discostano però troppo da quelli rilevati per il Friuli e la città di Udine. Circa due terzi degli informanti hanno frequentato scuole secondarie, poco più del 22% ha formazione universitaria o postuniversitaria, trascurabile è la percentuale di coloro che non hanno frequentato alcuna scuola (2,9%) [125]; circa il 60% del campione era inserito, prima della migrazione, nel mondo del lavoro, in prevalenza (pressappoco il 25%) quali operai, in edilizia o agricoltura (ma il quadro professionale è assai composito), poco meno del 28% invece studiava. Sebbene circa il 54% degli intervistati dichiari di aver avuto esperienze di migrazione interna nel paese d'origine, per quasi il 70% l'Italia, per il 61% il luogo di residenza sono le prime tappe del progetto migratorio; circa il 48% del campione risiede in Italia da cinque anni al massimo [128]. L'incidenza dei ricongiungimenti familiari (anche combinati a motivi di lavoro) è maggiore nel secondo sottocampione, mentre nel primo prevalgono ragioni lavorative [129-130]. Coniugati e non coniugati costituiscono rispettivamente il 49,4% del totale, ma maggiore è il numero dei coniugati nel secondo campione; alto è il numero di informanti che vive con amici (22,1%). Oltre il 60% del totale non ha occupazione; tra quelli attivi nel mondo del lavoro prevalgono occupazioni dalla «dimensione sociale medio-bassa» [132]; quasi un quarto degli occupati ha (anche) colleghi non italiani, il che ha risvolti sulle pratiche comunicative e sull'apprendimento linguistico. L'integrazione in reti amicali con italiani sembra prevalere (solo poco meno di un quarto dichiara di frequentare esclusivamente amici provenienti dal suo paese d'origine, con percentuali maggiori nel primo sottocampione), e in tale senso hanno un ruolo fondamentale la scuola e il lavoro [137]. Le relazioni amicali sono marcatamente plurilingui, ma i legami più intimi paiono sussistere con connazionali [140]. Non sorprende che gli informanti siano combattuti tra il desiderio di consolidare la propria posizione in Italia (52,2%) e quello di ritornare nel loro paese (32,4%) [143]; interessante è invece il fatto che, a fronte di un'integrazione che pare sostanzialmente avvenuta, quasi il 55% si dichiari incerto o contrario a consigliare a connazionali l'Italia come meta di migrazione, con percentuali maggiori nel secondo sottogruppo, non inverosimilmente per il peggioramento delle condizioni socio-economiche dopo la crisi del 2008. Quasi il 55% rientra nel paese d'origine almeno ogni due anni, poco più del 10% invece non vi ha ancora fatto rientro (dato non molto sorprendente non solo per le difficoltà logistiche ed economiche legate al rientro indicate dall'a. [144-145], ma anche in considerazione del fatto che oltre il 21% risiede in Italia da meno di un anno).

[9] Il capitolo 4 rappresenta infine la parte più prettamente sociolinguistica del volume, offrendo l'analisi dei repertori e dei comportamenti linguistici dichiarati. La prima parte [148-162] è dedicata alle lingue che gli informanti indicano come conosciute e impiegate nei Paesi d'origine. Il quadro è ovviamente assai variegato, essendo registrate ben 72 lingue diverse afferenti a dieci famiglie linguistiche. Un ruolo importante hanno inglese, francese e spagnolo, sebbene, tra le lingue europee di prima socializzazione, sia rappresentato soprattutto il romeno. Diversi Paesi d'origine sono contraddistinti da uno spiccato plurilinguismo, con lingue autoctone e coloniali o comunque presenti sul territorio (per es. l'inglese come lingua dei media internazionali); per molti Paesi il plurilinguismo svolge un ruolo importante anche nel sistema scolastico; particolarmente complessi e differenziati sono, cosa non sorprendente, i panorami linguistici nei Paesi africani; per quanto riguarda l'America meridionale è interessante il fatto che pare vi sia una rilevante presenza dell'inglese [157]. Anche per i mezzi di comunicazione si rileva un certo plurilinguismo, anche se in rapporto equilibrato con l'uso esclusivo di una lingua, di regola la L1 del campione. Non sorprende che l'istruzione «agisc[a] da veicolo di diffusione del plurilinguismo» [160], ma per buona parte dal campione (quasi il 30%) non di apprendimento della propria L1 [161]. Nella seconda parte [162-174] il focus si sposta sul plurilinguismo nel luogo d'arrivo, caratterizzato dall'italiano, ma in parte anche dai «dialetti» locali e da altre lingue, espressione della componente non autoctona, con una maggiore incidenza delle varietà locali per il campione del 2013 (che comprende soggetti dell'area periurbana). Le competenze in italiano sono giudicate in maniera cauta dagli informanti, che mostrano maggiore sicurezza nelle competenze passive, specialmente orali [164], con differenze tra i due sottocampioni; il contatto con l'italiano è molteplice: oltre all'oralità quotidiana, oltre il 70% degli informanti ha frequentato corsi di italiano, di regola brevi, ma l'esposizione maggiore è quella all'italiano televisivo, e vi è una certa regolarità anche di lettura per più di un terzo del campione. Ne deriva che i migranti sono a contatto con diverse varietà di italiano: quello regionale dell'oralità quotidiana, i modelli mediatici - talora tendenti a uno standard televisivo dal carattere piuttosto artificiale, spesso altrettanto regionali, ma di altra collocazione diatopica -, il neostandard insegnato nei corsi di lingua, etc. Questo dato ci pare fondamentale per eventuali prossime ricerche che focalizzino sul quesito quale italiano viene parlato dai migranti. Le competenze dichiarate nella L1 sono molto alte, anche per quanto riguarda la scritturalità, cosa che, come suppone anche l'a., può essere dovuta anche all'istruzione piuttosto elevata del campione. Gli informanti con figli dichiarano anche una discreta competenza di questi nella L1 dei genitori, anche se le competenze in italiano paiono forse meglio consolidate. Il contatto con la L1 è garantito, oltre che dalla comunicazione (soprattutto telefonica) con amici e parenti rimasti nel paese d'origine, dalla frequentazione di connazionali - al di fuori del nucleo familiare per il primo campione, all'interno di esso per il secondo. Relativamente scarsa è la conoscenza dell'offerta di corsi di L1 nel paese d'accoglienza, come anche il desiderio di parteciparvi. Per quanto riguarda i propri figli, poco più del 50% è propenso a far frequentare loro corsi della propria L1 [173]. Le pagine [174-198] sono dedicate agli usi linguistici dichiarati, dapprima nel paese di provenienza, poi in quello di residenza: negli ambiti familiari domina la L1, anche se nell'interazione coi fratelli essa è talora affiancata da altre lingue; spesso il plurilinguismo è insito nella realtà linguistica sociale del paese d'origine; si registrano anche casi di assenza di una lingua parlata coi genitori nell'interazione coi fratelli [175-177]. Gli usi linguistici col coniuge e coi figli nel paese d'origine sono condizionati dall'origine (anche linguistica) del primo, che per buona parte del campione è la stessa degli informanti. Si nota però anche l'uso della lingua del coniuge nel caso di coppie miste (anche con italiani) e talora dell'inglese come lingua comune. Quasi la totalità degli informanti con figli dichiara di parlare con questi solo nella propria L1; in due casi, a questa si affianca l'italiano. Anche nelle relazioni amicali prevale l'uso esclusivo della L1, talora affiancata da altre lingue (anche dall'italiano) [179]; molto alto (92,5%) è l'uso esclusivo della L1 anche nelle relazioni lavorativo-professionali [180]. In Italia l'uso esclusivo della L1 nel nucleo abitativo (che, come si è detto, non è sempre solo familiare) scende a circa il 25%, mentre ben il 57% vi fa uso (anche) dell'italiano [182] e il 43,3% ricorre anche a altre lingue. Interessante è l'analisi per aree geografiche di provenienza [183], secondo la quale l'uso esclusivo della L1 (e della L1 affiancata dall'italiano) è maggiore tra gli informanti provenienti dal Sudamerica e dall'Europa centro-orientale, mentre l'uso di altre lingue oltre all'L1 e all'italiano ha incidenza maggiore tra gli informanti di origine africana occidentale e centro-orientale e dell'Asia meridionale, Estremo oriente e Sud-Est asiatico [183]. Per quanto riguarda gli usi linguistici con familiari residenti in Italia, i dati sono lacunosi per fraintendimenti delle domande relative nel sottocampione del 2013 [184-185]; si registra comunque un prevalere di usi misti di L1, italiano e altre lingue. 154 informanti sono sposati, 22 con italiani. Per questi ultimi, nella comunicazione con il coniuge prevalgono gli usi misti, con forte presenza della L1, ma anche dell'italiano e di lingue terze e, nel sottocampione del 2013, di friulano; poco sorprendente è invece il prevalere della L1 nelle coppie di connazionali. Le risposte alle domande riguardanti gli usi linguistici con i figli sono di difficile interpretazione, superando esse il numero degli informanti che dichiara di convivere con gli stessi [189-190]. Maggiori sono comunque l'uso e l'accettanza di usi misti di L1, italiano e friulano nel sottocampione del 2013. Con amici connazionali prevale, dato non sorprendente, l'uso della L1, anche se nel sottocampione del 2013 vi è maggiore incidenza anche dell'italiano e di altre lingue [191]. Più frequente è l'uso dell'italiano con amici non connazionali, dove si attesta a circa il 54% [192] e con amici italiani (86%). Molto alte (circa il 95%) sono le percentuali di coloro che usano l'italiano nei rapporti professionali, per circa l'83% come unica lingua, con una piccola percentuale di friulano nel sottocampione del 20135. Una certa funzione svolge anche l'inglese, oltre che, in misura minore, altre lingue e/o dialetti italiani. Non sorprende l'alto uso esclusivo dell'italiano (circa il 90%) in negozi, servizi sanitari e uffici pubblici [195-198]. I risultati sono notevoli, ma non del tutto sorprendenti; il dato forse più interessante, come sottolinea l'a. [199] è la percezione, soprattutto nel sottocampione del 2013, del valore del friulano e, talora, il suo uso.

[10] Le Conclusioni offrono considerazioni sulla città come laboratorio del «neoplurilinguismo» [204], in cui alle lingue e varietà storicamente presenti se ne affiancano di nuove, che conferiscono una precipua dinamicità ai repertori sociali e individuali. Riuscire a comprendere e far comprendere il valore di tale plurilinguismo è la sfida da affrontare per confrontarsi serenamente con il fenomeno, congenito alla nostra società, della migrazione.

[11] L'appendice [217-238] per mano di Gianluca Baldo presenta alcuni risultati della sua tesi di dottorato (Baldo 2011-2012). La ricerca, di stampo sociolinguistico, offre uno spaccato di una realtà migratoria - quella burkinabè - in un centro urbano minore, Spilimbergo, nella Destra Tagliamento. Questa, nonostante i primi arrivi risalgano probabilmente a inizio anni ‘90 del secolo scorso, presenta ancora caratteri di insediamento piuttosto nuovo, con preponderanza dell'elemento maschile, fenomeni di migrazione a catena e un crescente ricongiungimento delle famiglie. L'indagine, svolta tramite questionari e interviste, mira a ricostruire da una parte il percorso e il progetto migratorio, dall'altra a indagare i comportamenti linguistici prima e dopo la migrazione, legati anche alle scelte amicali, lavorative e familiari. Caratterizzati da un plurilinguismo di partenza (bissa, francese, altre lingue locali), gli informanti hanno appreso l'italiano, ma non il friulano, nonostante vi ci riconoscano una lingua del repertorio sociale locale e nonostante questo costituisca, in certi ambiti lavorativi, ma in alcuni casi anche nella scuola, il codice non marcato [229]. Interessante, anche se non sorprendente, è la scelta di alcuni informanti di adottare l'italiano nella comunicazione con i figli - in due casi come codice esclusivo [231]. Ciononostante il bissa resta la lingua dominante nella comunicazione in reti sociali più informali [231-232], anche se l'italiano domina con amici non burkinabè [232]. Interessanti le considerazioni sull'autovalutazione delle competenze di italiano, che soffrono, a detta dell'autore, del timore di una rappresentazione negativa della comunità e di sé e della mancanza di strumenti atti a riflettere sul plurilinguismo. La scelta di includere questa appendice, oltre a dare visibilità a una ricerca interessante, permette anche un primo confronto tra una realtà urbana relativamente grande e importante e una più piccola e meno centrale nel territorio.

[12] Il volume è molto ben curato anche dal punto di vista formale, quasi assenti i refusi («Pldn» invece che «Plodn» [58], «scientfche» [72], «le acquisizione di cittadinanza» [107] e davvero poco altro)6.

[13] Sia la ricerca di Fusco sia quella, accessoria, di Baldo presentano un interessante spaccato di realtà linguistiche plurilingui urbane, costituendo una base di partenza per altre ricerche più specifiche su determinati aspetti che esse hanno evidenziato, ma anche per interventi di natura più pratica. Il volume costituisce dunque un prezioso contributo alla discussione.

Bibliografia

Baldo, Gianluca 2011-2012. Immigrazione in Friuli: un'indagine sociolinguistica sulla comunità Burkinabè a Spilimbergo. Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine.

Candido, Elisa 2012-2013. Vivere il plurilinguismo. La comunità albanofona nel comune di Maniago. Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine. <http://www.vatrarberesh.it/biblioteca/ebooks/Tesi%20di%20dottorato%20di%20Elisa%20Candido%20ALBANOFONI.pdf>.

Candido, Elisa 2016. Vivere il plurilinguismo. La comunità albanofona nel comune di Maniago. Federico Vicario (a cura di). Ad limina Alpium. VI colloquium retoromanistich. Udine: Società Filologica Friulana, 77-96.

Chini, Marina (a cura di) 2004. Plurilinguismo e immigrazione in Italia. Un'indagine sociolinguistica a Pavia e Torino. Milano: Franco Angeli.

Fusco, Fabiana 2014a. Il Taliano furlano. Saggi sul plurilinguismo in Friuli-Venezia Giulia. Alessandria: Edizioni dell'Orso.

Fusco, Fabiana 2014b. Italiano e friulano nelle città: alcune ricerche. Fabiana Fusco. Il Taliano furlano. Saggi sul plurilinguismo in Friuli-Venezia Giulia. Alessandria: Edizioni dell'Orso, 25-40.

Melchior, Claudio 2015. Ricerca sociolinguistica sulla lingua friulana. Udine: Università degli Studi di Udine, ARLeF. <http://www.arlef.it/risorsis/materials/materiai-sociolinguistiche/3>.

Melchior, Claudio 2017. La lingua friulana oggi. Diffusione, opinioni e atteggiamenti sociali. Udine: Forum.

Melchior, Luca 2008. Kommunikationsräume und kommunikative Routinen friaulischer Migranten in Bayern zwischen Dissoziation und Integration. OBST - Osnabrücker Beiträge zur Sprachtheorie 75, 87-104.

Picco, Linda 2001. Ricercje su la condizion sociolenghistiche dal furlan/Ricerca sulla condizione sociolinguistica del friulano. Udine: Forum.

1 Tale suddivisione, comune nella letteratura sulla regione, si basa sulle diverse vicende storiche del Friuli patriarcale e della parte della regione invece inclusa nel Litorale austriaco. Tuttavia c'è da chiedersi se tra Friuli austriaco - grossomodo la ex provincia di Gorizia - e la ex provincia di Trieste sussista davvero un'unità storico-linguistico-culturale.

2 L'insegnamento favorisce l'incremento della conoscenza della high variety del friulano comune o standard, non certo delle varietà locali, con chiare conseguenze sui repertori e la complessa architettura linguistico-comunicativa della regione.

3 È sempre difficile parlare di arcaicità, concetto relativo in base agli ambiti della lingua tenuti in considerazione. L'intenso contatto con le varietà romanze ha infatti portato a numerosi fenomeni di innovazione sia lessicale che sintattica, come sottolinea l'a. stessa.

4 La distribuzione è diversa nei due sottocampioni: leggermente inferiore alla media nazionale e regionale nel primo, la presenza femminile sale a poco meno del 64% nel secondo [120].

5 In generale, la comunicazione in ambito lavorativo è assai complessa e differenziata, fluttuando tra domini della distanza e della vicinanza (per es. per le amicizie con colleghi), e variando anche molto come ambiti di pertinenza (dalla comunicazione coi clienti, alla semplice chiacchierata coi colleghi nella pausa caffè). In migrazione tale situazione è forse ancor più complessa (cf., inter alia, Melchior 2008). Per comprendere le routine comunicative in tali contesti sarebbero necessarie ricerche molto più approfondite, che nell'ambito di questo studio non sono certo possibili.

6 A voler essere davvero critici, si possono segnalare ancora due frasi sintatticamente poco felici, poiché (superficialmente) ambigue: «la Venezia Giulia, ovvero quel che resta del Küstenland austriaco, così rinominata da Graziadio Isaia Ascoli dopo l'annessione all'Italia (1920)» [38] e «Tra gli stranieri residenti nel nostro paese, i non comunitari sono i più numerosi (3,9 milioni), sebbene sia rilevante la provenienza europea: oltre 2,6 milioni, dei quali poco più del 30% è cittadino dell'UE (1,5 milioni) […]» [87]. Nel primo caso, è però chiaro che l'a. non data al 1920 la proposta ascoliana, ma l'annessione dei territori all'Italia; nel secondo l'antecedente del relativo è facilmente individuabile in «gli stranieri residenti», e non in «2,6 milioni».