Recensione

Marco Favaro 2023. Modal particles in Italian. Adverbs of illocutionary modification and sociolinguistic variation. Language Science Press

Book review

Marco Favaro 2023. Modal particles in Italian. Adverbs of illocutionary modification and sociolinguistic variation. Language Science Press

Franco Pauletto

Universidad Complutense de Madrid (Madrid, Spagna)

franpaul@ucm.es

https://orcid.org/0000-0002-9290-4167

Ricevuto il 23/8/2024, accettato il 9/9/2024, pubblicato l'11/4/2025

Creative Commons Attribution 4.0 International

© 2025 Franco Pauletto

Come citare questa recensione

Pauletto, Franco 2025. Recensione. Marco Favaro 2023. Modal particles in Italian. Adverbs of illocutionary modification and sociolinguistic variation. Language Science Press. Studia linguistica romanica 2025.13, 67-73. https://doi.org/10.25364/19.2025.13.3.

[1] Oggetto di questa recensione è la monografia di Marco Favaro (234 pp.), apparsa nel 2023 come rielaborazione della tesi di dottorato difesa nel 2021 dall'autore – attualmente ricercatore postdottorale presso il Centro de Linguística della Universidade de Lisboa. L'opera, edita da Language Science Press (Berlin), fa parte della collana Open Romance Linguistics.

[2] È soprattutto nell'ambito degli studi sulla traduzione che negli ultimi decenni si sono moltiplicate le ricerche sui corrispettivi romanzi delle particelle modali presenti nella lingua tedesca (cf. tra gli altri Meier 2022; Weerning 2015). Questi studi partono spesso dal presupposto che le particelle modali rappresentino una peculiarità delle lingue germaniche e che nelle varietà romanze il loro effetto semantico e pragmatico si ottenga di solito con il ricorso ad altre strategie discorsive, che fungerebbero quindi da veri e propri equivalenti funzionali delle cosiddette Modalpartikeln o Abtönungspartikeln (Waltereit 2006: IX). Recenti studi empirici condotti sul francese e sullo spagnolo avrebbero tuttavia dimostrato l'esistenza e l'uso in interazione di oggetti linguistici simili a tali particelle, sebbene né il francese né lo spagnolo presentino un paradigma riconosciuto di particelle modali (cf. tra gli altri Meisnitzer & Wocker 2017; Schoonjans 2014). Per l'italiano sono scarse in quest'ambito le ricerche basate su corpora di lingua scritta e/o parlata (ma si veda Coniglio 2008): per questa ragione il contributo di Marco Favaro assume particolare rilevanza, anche in prospettiva comparativa. Ne riassumiamo di seguito i contenuti principali.

[3] Il volume è costituito da dieci capitoli e si può suddividere in due parti fondamentali: nella prima Favaro passa in rassegna l'ampia letteratura inerente i marcatori pragmatici (pragmatic markers; cap. 2) e poi, più nel dettaglio, le particelle modali (modal particles; cap. 3). Seguono un capitolo (cap. 4) dedicato alla descrizione del processo diacronico di mutamento semantico all'origine degli usi pragmatici di queste risorse linguistiche e un capitolo (cap. 5) di introduzione ai casi di studio che costituiscono il cuore empirico di questo lavoro. Qui Favaro esamina la letteratura esistente sulle particelle modali in italiano, presenta il metodo di ricerca e fornisce a chi legge il contesto sociolinguistico sullo sfondo del quale bisogna collocare l'indagine. Vengono quindi presentati quattro studi di caso inerenti gli usi modali di alcuni avverbi: due riguardano l'italiano standard, gli altri due invece alcune varietà regionali – settentrionali – dell'italiano (capp. 5-9). Chiude l'opera un capitolo contenente le conclusioni del lavoro (cap. 10).

[4] Come già detto, nel secondo capitolo viene presentata la categoria dei marcatori pragmatici (d'ora in avanti MP; cap. 2, pp. 5-13), oggetti linguistici eterogenei il cui uso nell'interazione verbale ha ricadute significative più sul piano comunicativo che su quello proposizionale (p. 8). Come vedremo in seguito, di questo ampio gruppo di espressioni fanno parte anche le particelle modali oggetto di questa ricerca, che l'autore definisce a più riprese modal-particle-like elements, per evidenziarne sia la specificità, sia la natura ibrida e non assimilabile a quella delle particelle modali di lingue quali – ad esempio – il tedesco. Favaro rivede l'abbondante letteratura apparsa sull'argomento negli ultimi tre decenni, sottolineando come ad oggi sia ancora difficile delimitare il campo di indagine e giungere a definizioni e classificazioni del fenomeno che siano condivise e soddisfacenti (pp. 6-7). Per descrivere le caratteristiche principali dei MP l'autore parte da due lavori a suo giudizio centrali: da un lato lo studio di Blakemore (1987), basato sulla teoria della rilevanza (Relevance theory: cf. Sperber & Wilson 1986), dall'altro il lavoro di Schiffrin (1987) sui segnali discorsivi, radicato invece nella tradizione dell'analisi del discorso. Dalla sintesi di queste due ricerche si evince come queste risorse linguistiche eterogenee, polifunzionali e sintatticamente opzionali, rappresentino delle vere e proprie coordinate contestuali dell'interazione verbale («procedural cues», nei termini di Crible 2018: 35) che assolvono principalmente funzioni indessicali, operando simultaneamente su più piani discorsivi (p. 10). Dal punto di vista terminologico, Favaro fa proprie le scelte di Crible (2017, 2018) e di Hansen (2006), che utilizzano l'etichetta MP come iperonimo designante tutti quegli elementi linguistici che svolgono funzioni non proposizionali nel discorso (p. 11): avremo così le sottoclassi dei marcatori discorsivi (discourse markers), delle interiezioni, dei segnali di risposta (response particles), delle espressioni di cortesia, delle domande retoriche (tag questions) e delle particelle modali (modal particles). Queste ultime vengono descritte dal ricercatore come oggetti difficili da collocare all'interno della categoria degli elementi discorsivo-pragmatici sopra citati anche in ragione delle proprie specificità sintattiche e funzionali (p. 12), mentre la loro distribuzione a livello interlinguistico è ancora lungi dall'essere stata esaminata in profondità. Funzioni, sviluppo diacronico e variabilità sincronica di questi elementi, la posizione da essi occupata all'interno della grammatica della lingua e la loro relazione con altri elementi discorsivo-pragmatici sono oggetto d'analisi in tutta la prima parte dello studio.

[5] Nel terzo capitolo (pp. 15-32) l'autore introduce alcuni elementi chiave della teoria pragmatica, essenziali per capire le funzioni e il comportamento delle particelle modali e, in generale, di tutti quegli elementi discorsivi che rientrano nella categoria più larga dei MP (p. 15). Vengono così introdotte le nozioni di atto linguistico, di implicatura (conversazionale e convenzionale), di presupposizione, il concetto di common ground e quello di illocutionary modification (traducibile con modifica o modulazione dell'illocuzione). Favaro ritorna alle particelle modali per descriverle come oggetti che stabiliscono un legame tra l'atto linguistico di cui fanno parte e le aspettative dell'interlocutore basate sul discorso precedente e sulla situazione extralinguistica (p. 21). L'autore si rifà agli studi di Waltereit (2001, 2006) che – unendo la prospettiva semantica a quella pragmatica – evidenziano come la modalizzazione (Abtönung) sia una categoria universale che trova concreta realizzazione nelle lingue romanze – prive di particelle modali propriamente dette – attraverso l'uso di risorse quali gli avverbi, l'intonazione, strutture sintattiche marcate come le dislocazioni, gli usi modali di alcuni tempi verbali e anche il ricorso alla morfologia diminutiva (p. 22). Tutti questi mezzi consentono di modulare l'atto illocutivo di base, e proprio il concetto di modifica o modulazione illocutiva (illocutionary modification) rappresenta la principale categoria analitica di questa ricerca (pp. 28-32): gli studi di caso presentati in questa sede servono infatti all'autore a dimostrare come alcuni avverbi italiani, in alcuni contesti specifici, operino da modulatori/modificatori della forza illocutiva dell'atto linguistico di cui fanno parte.

[6] Il quarto capitolo (pp. 33-57) è dedicato al processo diacronico di mutamento semantico che ha portato alla convenzionalizzazione degli usi pragmatici dei MP attraverso il dispiegarsi di complessi processi inferenziali. Altri temi approfonditi nel capitolo sono la polifunzionalità dei MP (frutto di una progressiva stratificazione di funzioni), il ruolo delle inferenze in quanto punto di contatto tra interazione e cambiamento linguistico e, dunque, snodo cruciale nel processo diacronico che porta alla nascita dei MP e, infine, il processo di rianalisi – con al centro il/la copartecipante, o hearer in quanto parte attiva – che nel corso del tempo porta al fissarsi di usi non letterali (pragmatici) di alcune espressioni linguistiche. Secondo l'autore, rianalisi e convenzionalizzazione di una struttura vanno di pari passo: una forma viene cioè rianalizzata mentre si diffonde nella comunità sociale dei parlanti; più si diffonde, più la nuova coppia forma/funzione si fissa come nuova convenzione (p. 53). Un'avvertenza: la lettura dei capitoli 2-4 può risultare piuttosto ostica per le persone prive di un retroterra adeguato dal punto di vista teorico. A nostro avviso, sarebbe stato opportuno editare ulteriormente il testo, in modo da renderlo maggiormente fruibile da parte di un pubblico più ampio.

[7] Nel quinto capitolo (pp. 59-74) Favaro ripassa la letteratura concernente gli elementi modal-particle-like presenti nella lingua italiana (pp. 59-60). Viene poi descritta la situazione sociolinguistica dell'italiano contemporaneo, lingua soggetta a un profondo processo di ristandardizzazione che ha visto entrare a far parte dei repertori regionali anche questi oggetti linguistici, assenti invece nella varietà standard. Per finire, l'autore introduce la metodologia adottata dei quattro studi che occupano i capitoli 6-9: la base di quelli descritti nei capitoli 6 e 7 sono i corpora di parlato KIParla (Ballarè, Goria & Mauri 2022) e LIP (De Mauro et al. 1993) nonché il corpus di testi scritti del giornale la Repubblica (Baroni et al. 2004); per le ricerche presentate nei capitoli 8 e 9 l'autore si è invece avvalso di questionari sociolinguistici costituiti da una sezione introduttiva con i metadati, una sezione relativa all'accettabilità delle costruzioni oggetto di ogni studio e una parte finale contenente domande specifiche riguardanti l'oggetto specifico di ogni caso di studio.

[8] Nel sesto capitolo (pp. 76-103) l'autore descrive gli usi modali dell'avverbio focalizzante pure. Gli esempi via via descritti confermano la notevole polifunzionalità del marcatore, che appare in diversi tipi di atti linguistici, contribuendo a produrre vari effetti pragmatici: in particolare, l'autore mostra come pure contribuisca a modulare i direttivi, che risultano così rispecificati come inviti e permessi (dica pure signorina cosa desidera; es. 12, LIP, p. 82); pure può anche rafforzare e specificare la forza illocutiva degli atti assertivi (anche perché stavano facendo i lavori a casa mia dovevano pure entrarci prima o poi; es. 20, KIParla, p. 89), conferendo ad essi quello che Favaro definisce (a) counter-expectational flavor (p. 90); infine, anche atti illocutivi specifici quali gli esortativi e gli ottativi possono essere modulati con l'uso di pure (Ciò posto, chiediamoci pure: e come siamo messi quest'inverno che è così duro, più duro del solito?; es. 28, la Repubblica, p. 95).

[9] Nel capitolo 7 (pp. 105-135) vengono approfonditi gli usi modali dell'operatore illocutivo un po'. Come nel caso di pure, l'autore osserva che anche questa locuzione accompagna diversi tipi di atti linguistici, contribuendo nuovamente a produrre svariati effetti di modulazione: un po' ridefinisce ad esempio gli atti direttivi come richieste mitigate, che quindi richiedono uno sforzo minimo al destinatario (Anna metti un po' là per favore; es. 8, LIP, p. 111). Inoltre, un po' può contribuire a mitigare gli atti assertivi in modo tale che questi risultano assimilabili a dei suggerimenti (esatto anch'io la chiamerei un po' rappresaglia; es. 11, LIP, p. 112). Nella nota finale Favaro sottolinea l'utilità delle categorie mutuate dal paradigma della Grammatica funzionale del discorso, in particolare per ciò che riguarda la distinzione tra il livello dell'illocuzione e quello del contenuto comunicato, un aspetto che ha permesso all'autore di realizzare una descrizione minuziosa degli usi contestuali di un po'.

[10] L'ottavo capitolo (pp. 137-165) – realizzato a partire dalla distribuzione di un questionario sociolinguistico (cf. [6]) – è dedicato all'analisi delle funzioni e degli usi dell'avverbio solo in quanto operatore illocutivo (p. 137). I risultati evidenziano che solo compare sia in atti linguistici direttivi (Guarda, sparisci solo!; es. 4, p. 140), sia assertivi (In effetti, prima di parlare informati, ha solo ragione Ceci a dire che ti inventi certe cose!; es. 8, p. 143). La differenza principale tra i due usi riguarda la loro distribuzione geografica: infatti, sebbene entrambi siano stati riscontrati in diverse varietà regionali dell'italiano, l'uso direttivo è caratteristico della varietà parlata in Piemonte, mentre quello assertivo non sembra avere una così chiara marcatura diatopica (p. 164). Per quanto riguarda il valore di solo in questi contesti, i/le parlanti ne danno da un lato una lettura enfatica – quando l'avverbio rafforza principalmente la forza illocutiva – e dall'altro una di common ground – quando solo contribuisce a segnalare un contrasto tra ciò che veicola l'enunciato ospitante e qualche proposizione attivata sullo sfondo. Le nuove funzioni di solo sono interpretabili come inferenze organizzate lungo una direttrice di convenzionalizzazione: nascono dall'uso di questo avverbio nel discorso e vengono progressivamente incorporate nel suo significato convenzionalizzato e non più letterale.

[11] Lo studio finale riguarda una serie più ampia di avverbi, di cui vengono analizzati gli usi in contesti inediti: l'autore menziona in particolare la funzione di backchecking1 e l'enfasi. Alcune di queste forme sono già state presentate nei capitoli precedenti (pure, anche, un po'), altre (già, poi) sono nuove. Il risultato più interessante che emerge dall'analisi dei dati è che alcune di queste forme hanno diffusione prettamente regionale (il Piemonte nel caso di già come backchecking e dell'uso enfatico di solo; l'Emilia Romagna per quanto riguarda pure come backchecking e poi e mo' come enfatici). Dallo spoglio dei dati emerge altresì che i parlanti hanno a disposizione una variante standard (non marcata diatopicamente) per entrambi i domini (backchecking e enfasi): si tratta della frase scissa per le interrogative di controllo e di un po' nel caso dei direttivi enfatici. L'autore sottolinea la novità dei dati raccolti, che confermano l'esistenza e l'uso di elementi pragmatico-discorsivi – spesso marcati in diatopia – il cui status non viene descritto in alcuna grammatica. Si tratta – afferma Favaro – di risorse linguistiche interessanti in quanto riflettono il generale processo di convergenza in atto tra le varietà regionali dell'italiano.

[12] Lo studio di Favaro ha il merito di portare nuova luce sulla natura, le funzioni e gli usi di una categoria di elementi poco o per nulla studiati in precedenza – almeno da questa prospettiva teorica e con questa metodologia – e tuttavia di grande rilevanza nell'interazione quotidiana. Quando vengono utilizzati come elementi modal-particle-like, gli avverbi oggetto della ricerca modificano (modulandolo) l'atto linguistico, contribuendo a rendere esplicito il modo in cui quest'ultimo deve essere interpretato nel relativo scambio comunicativo: in tale contesto essi possono modificarne la forza illocutiva o mettere in risalto aspetti specifici del contesto interattivo sottostante. Sul versante sociolinguistico, un altro merito di questo studio è il fatto di aver evidenziato da un lato la distribuzione differenziata sul territorio oggetto di analisi di queste risorse pragmatico-discorsive, dall'altro l'incipiente processo di cambiamento linguistico in atto, con la progressiva convergenza delle varietà regionali dell'italiano prese in considerazione, di cui è prova la crescente diffusione di elementi in origine marcati regionalmente quali, ad esempio, le particelle modali. Per il futuro un allargamento del focus ad altre varietà regionali dell'italiano è sicuramente auspicabile: l'italiano parlato è sempre più spesso oggetto d'indagine, ma molto ancora rimane da fare – e scoprire.

Abbreviazioni e riferimenti bibliografici

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1 Secondo Squartini (2013) i segnali o marcatori di backchecking indicano la momentanea mancanza di un'informazione che in precedenza era già stata assimilata nella mente del parlante.